Collega particolare che fare

Il vero problema me lo disse a un certo punto, quando, parlando delle regole da tenere per una buona convivenza..

Collega particolare che fare
Un collega con aids che fare 

Vent’anni, vent’anni di incontri, appuntamenti, controlli, organizzazione, colloqui problemi da risolvere e problemi da evitare. In tutti questi anni ho vissuto molte situazioni, dirette e indirette, della vita di coloro che lavoravano con me, o sotto di me, insomma: che gestivo io. Dal mio ufficio passavano tutti e, una volta inseriti nell’organico, anche più volte nel mese e per motivi sempre diversi, anche non inerenti il lavoro. Per i miei centralinisti ero una sorta di conforto, di sfogo e anche una consigliera, ma che diamine, in certe situazioni mi sono sentita una psicologa ma, devo averlo già scritto da qualche parte, una caratteristica di chi ha un ruolo di comando e di organizzazione è anche quello di “aggiustare” i malumori , ove possibile naturalmente, perché il lavoro buono è scaturito da un buon umore.

Una domanda che mi sono sentita fare tantissime volte a proposito dei miei collaboratori è: “Che ricordi hai di quelle persone?”. Tanti ricordi, tante vicende si sono verificate in tutti quegli anni, ho preso una marea decisioni anche un po' forzando la mano con la direzione che, seppur raramente, su certi arruolamenti non era proprio favorevole con me, ma mi è stata sempre data fiducia sulla scelta del personale, questo lo devo dire. 1994, arriva nel mio ufficio una ragazza altissima, biondissima e con una figura assai imponente: spalle larghe, fianchi stretti e mani enormi. Come sempre utilizzerò nomi di fantasia per mantenere il massimo riserbo. Le avevo dato l’appuntamento io qualche giorno prima, mi trovavo in panetteria e mi arrivò un trasferimento di chiamata sul cellulare. La voce non era di una donna e quando mi disse di chiamarsi Noemi non feci osservazioni inutili ma intuii qualcosa. E in effetti, quando la vidi, capii.

Di fronte a me avevo una donna composta, profumatissima ed elegante, fu un colloquio normale, mi parlò delle scuole, delle esperienze pregresse, dell’esigenza di una certa elasticità di orari in quanto si spostava col treno e di quella di dover assolutamente lavorare perché era ferma da tempo e non poteva permettersi di andare oltre, che le finanze erano finite. Le spiego cosa vuol dire fare la centralinista, come ci si prepara, come rivolgersi ai clienti, quali atteggiamenti osservare quando si raccolgono dati sensibili per una vendita ecc. ecc. Tutto bene, tutto perfetto, lei era una persona sveglia e molto ricettiva, ma mi parve naturale far presente che la sua voce avrebbe generato un interrogativo ai clienti ai quali lei si sarebbe presentata come Noemi.

Era consapevole di questo e non me lo indicò come un problema, aveva imparato a bypassare questo tipo si osservazioni. Il vero problema me lo disse a un certo punto, quando, parlando delle regole da tenere per una buona convivenza, le stavo indicando quali fossero gli spazi comuni per momenti di pausa. E’ a quel punto che Noemi smise di guardarmi negli occhi e abbassò lo sguardo, fu in quel momento che la sua voce vacillò incerta, ma aveva qualcosa da comunicarmi, qualcosa che probabilmente mi avrebbe fatto cambiare idea sulla possibilità di inserirla nei turni per una prova. Noemi era sieropositiva. E lo disse dopo aver controllato che intorno non vi fosse nessuno, il mio ufficio aveva una parete a vetro e guardò che non vi fosse nessuno aldilà di quei vetri.

Oggi sappiamo che sieropositivo non è la malattia conclamata e sappiamo che la trasmissione del virus avviene tramite i liquidi corporei e non dalla sola vicinanza. Nel 1994 non si sapevano tante cose e ciò che si sapeva era spesso errato. Già da diversi anni si sentiva parlare di morti a causa dell’AIDS, persone famose, tossicodipendenti e omosessuali, almeno, questo veniva scritto da giornali e raccontato in tv. Dovetti pensarci su, lo ammetto, e ci pensai molto. Non fu facile decidere come comportarmi e cosa fare con Noemi . Tra i miei obblighi vi era quello di garantire che l’ambiente di lavoro fosse al riparo da ogni rischio prevedibile e preparato per quelli non prevedibili. La società per cui lavoravo aveva , come primo punto imprescindibile, l’incolumità di tutte le persone che nei suoi uffici vi lavoravano. Che fare quindi? Aspettate un attimo, lo sento che nelle vostre menti vi state chiedendo anche come avessi previsto l’uso del bagno per Noemi.

Credetemi sulla parola se vi dico che quello era un problema di nessuna importanza. Con lei parlai molto schiettamente e fu proprio lei a dirmi che non c’era nessun imbarazzo ad utilizzare il bagno degli uomini. Mi consultai con la direzione ovviamente, chiedemmo un consulto medico e informai i responsabili di turno. Predisposi un postazione fissa che si trovava proprio di fronte alla parete a vetro del mio ufficio in modo da monitorare e seguire personalmente, nel corso dei giorni di prova, la situazione e l’inserimento di Noemi. Certo che si formarono i pettegolezzi, un vociare sotto traccia che faceva da sfondo ogni qual volta Noemi era presente. Avevamo anche parlato con lei di una clausola  obbligatoria per poter lavorare con noi: dovevamo essere messi a conoscenza degli esami di controllo tutte le volte che questi venivano eseguiti basandoci sul protocollo sanitario che stava seguendo.

Il periodo di prova andava bene, dei quindici giorni per la formazione Noemi ne fece 10, poi volle parlare con me ma non nel mio ufficio e ci incontrammo al bar vicino. Tirò fuori una busta e me la consegnò, era dell'ospedale e riportava i risultati degli ultimi esami clinici. Il resto lo potete immaginare, non ci furono molte cose da dire . Mentre la vita ci scorreva affianco col vociare dei clienti del bar che parlottavano tra loro allegramente, mentre la radio diffondeva musica dance, vivace e piacevole, mentre un bambino urlava al padre che voleva la brioches al cioccolato e una anziana signora ci strattonava per passare a forza tra la folla di persone al banco, io e Noemi rimanemmo in silenzio. Pochi minuti che sembravano eterni. Ho tantissimi ricordi della mia vita, del mio lavoro, delle persone che ho conosciuto e con le quali ho condiviso giorni, mesi, anni insieme. Alcuni ricordi sono annebbiati, ad altri, come un puzzle incompleto, manca forse qualche pezzo , altri ancora, come questo, sono lucidi, dettagliati, indelebili. Anche adesso mentre scrivo queste poche righe per ricordare quel giorno sento distintamente il profumo di caffè e dei cornetti appena sfornati. Pioveva quel giorno , e l’acqua intrappolata tra i capelli di Noemi scivolò sul viso, poche gocce in verità,  donandole un’aria eterea, irreale. Ma era tutto vero, tristemente vero.