Certi colleghi non li dimentichi
Ho parlato spesso della difficile convivenza tra colleghi che alle volte ci fa vivere la nostra giornata lavorativa in ufficio con un senso di tristezza.
Ho parlato spesso della difficile convivenza tra colleghi che alle volte ci fa vivere la nostra giornata lavorativa in ufficio con un senso di tristezza. I dissapori sono sempre dietro l’angolo e i motivi per i quali questi nascono i più disparati; c’è invidia, gelosia, protagonismo, arroganza, supremazia, competizione e c’è anche l’aspetto umano da considerare. Da team manager ho affrontato quasi quotidianamente questo lato dei miei collaboratori, sbagliando, perché a chi sta al comando, a chi sta dalla parte del pilota, si chiede sempre di comprendere, ma mai si cerca di capire le sue ragioni o i suoi problemi, e io, che tanto ho adottato un atteggiamento empatico verso tutti , un po' per carattere, un po' per diplomazia, sono stata spesso criticata, a tal punto da essere tacciata di avere preferenze particolari per alcuni e di non considerare in egual maniera tutti.
Non è stato mai così, ma accadeva che lo pensassero anche solo perché a un dato momento, cambiavo per qualcuno il criterio sugli orari, sulla rotazione dei turni, sulle le mansioni o per permessi di lavoro ritenuti troppo elastici dagli altri. I collaboratori non capivano che, sempre, dietro ad una scelta c’era una spiegazione che però non ero tenuta a dare, non a loro almeno, senza contare avrei violato la privacy spiattellando ai quattro venti i motivi per cui a un collega o una collega venivano concesse alcune cose. Questo causava astio nei miei confronti e gelosia per il o la collega preferita “presunta”. Bastava poco per scatenare l’ira di qualcuno, anche solo fare un complimento per un taglio di capelli o una giacca. E’ assurdo, non ci si può credere, eppure accadeva questo. Alimentare queste manifestazioni danneggia fortemente l’unità del gruppo di lavoro ma anche l’autostima di ognuno, quindi non va bene e guardate che basta sottovalutare il problema per alimentarlo.
Quando vi accorgete che cominciano a nascere pettegolezzi su una presunta attenzione particolare che voi rivolgereste verso qualcuno provvedete subito a fermare immediatamente queste voci. Come? Dichiarando pubblicamente, di fronte al team al completo che avete capito benissimo, dai loro atteggiamenti, che pensano una certa cosa e che, pur non dovendo dare nessuna spiegazione riguardo decisioni prese per un singolo e nel rispetto della privacy del collega interessato, non tollererete altri comportamenti di astio. Quanto meno sapranno che avete capito cosa sta accadendo e che monitorate la situazione, poi potranno continuare i pettegolezzi, non si debellano quelli lì, ma almeno saranno innocui, stile comare del palazzo e non striscianti e pericolosi. Terry non aveva solo 47 anni, era molto alta, magrissima a causa di problemi col metabolismo. È stata la prima persona che conobbi che faceva una dieta per ingrassare e non per perdere peso. In passato aveva fatto la modella e lo si capiva da come camminava, non lo faceva come tutti noi, lei era una gazzella; agile e elegante. Parlava bene due lingue; inglese e francese, di più quest’ultima perché visse diversi anni in Francia, a Parigi, e sentirla parlare era bellissimo.
Era molto apprezzata dai clienti del call center per i modi gentili e la voce confortante, i suoi capelli corti e mossi incorniciavano un bel viso ovale con due occhi scuri grandi e tondi. Terry era sposata e aveva un figlio, avuto dopo anni di perdite e lutti continui, 17 aborti spontanei e non entro i primi mesi di gravidanza, molto più in là. Quel figlio quindi, era per lei e il marito un miracolo di 11 anni e, quell’anno, siamo nel 1999, mi chiese un periodo di ferie più lungo per poter fare un viaggio indimenticabile con lui. Anche i turni di lavoro erano diversi da quelli di tutti gli altri. Terry aveva fortissimi mal di testa quella estate che le toglievano persino il fiato e che lei attribuiva alla stanchezza e alla nuova cura per ingrassare che stava facendo. Sapevo che non stava bene. Sapevo anche che aveva bisogno di lavorare per sentirsi attiva e combattere il malumore, era fatta così, ce la metteva sempre tutta. I suoli colleghi si arrabbiarono molto quando le detti ben quattro settimane di ferie nonostante tutti i permessi che le avevo già accordato nelle settimane precedenti.
Anche al suo rientro, nel mese di settembre, Terry mancava spesso e i colleghi cominciarono a spazientirsi di dover fare sempre anche il suo lavoro. A ottobre fece una Tac perché i mal di testa non cessavano e perché le capitava di perdere il contatto col suo corpo. Il risultato fu un colpo tremendo. Così, mentre me lo raccontava al telefono, anche ridendoci su, mi disse che almeno finalmente sapeva perché le si annebbiava la vista e non riusciva nemmeno a guidare, e perché tutte le percezioni del corpo erano alterate, i suoi fortissimi mal di testa erano dovuti a un piccolo problema ai vasi sanguigni e non si era rimbecillita per la vecchiaia. Non riuscì a tornare al lavoro e i primi di novembre mi chiamò al telefono per rassicurarmi che stava meglio e che sarebbe tornata presto, “ Tienimi il posto mi raccomando, io torno, forse già la prossima settimana”. La rassicurai, ma la sua bella voce era molto affaticata e lei confusa. Il giorno dopo quella telefonata Terry non c’era più.
A nemmeno un mese dalla diagnosi Terry se n’era andata, prendendosi in giro per le cose che faceva involontariamente, sbeffeggiando il suo male, sicura che sarebbe guarita. Il marito mi confiderà poi che non le aveva detto la gravità della sua malattia, che lei non sapeva di avere un tumore, per evitare che vivesse nella disperazione quegli ultimi attimi di vita. E così anche tutto il team si rese conto che non avevo avuto preferenze per lei ma solo attenzione. Non avevo regalato privilegi ma solo ricordi. Non per lei, che ignara se ne stava andando, ma per suo figlio, suo marito e la sua mamma. In ufficio, quando i tuoi collaboratori passano insieme a te quotidianamente molto tempo, quando si condividono esperienze, tensioni e gioie, un pochino si entra nelle vite di ognuno, marginalmente, da spettatori si intende. In qualche modo quando si passano anni sempre insieme, il team di lavoro è un po' la tua famiglia, e si vivono, indirettamente ma non per questo in modo meno intenso, anche questi drammi. Ogni tanto la penso Terry, anche se sono passati tanti anni, e sono contenta di aver scherzato con lei in quell’ultimo giorno della sua vita. Non l’ho mai dimenticata. Ciao Terry.